Topografia delle Quattro Terre DOPPIO LINGUAGGIO

Sotto la città dormono e sognano i senza corpo: gli assenti, i perduti, i dimenticati.
Nico si accorge delle loro voci mentre percorre quel tratto della Via Sacra che ascende fino alla chiesa di San Bonaventura.
Nel lungo spazio stretto, in salita, coglie il suono di voci e rivincite. Sembra che aspettassero proprio lui, Nico: Nico, il camminante. Tutto è passato, gli dicono quelle voci, e lui si ferma ansimante ad ascoltare, niente vale, tranne questo respiro, questa durata.
E’ piena notte, e non ci sono che fantasmi intorno. E’ per questo, pensa Nico, che parlano a me, ora. Perché non c’è nessun altro in giro, e perché c’è silenzio. Un silenzio che sembra si elevi direttamente dalle fogne, dai corpi decomposti, dal cemento della terra, da ogni spira di colonna o arco, trave o volta.
E’ il silenzio, e mi ha portato fin quassù, pensa Nico. In questo silenzio si dirime la storia, e ciò di dubbio o diritto ch’essa contiene. Ogni parola è definitiva: quel che era e non è mai stato. Quello che bisognava, e poteva.
Le quattro della notte, e sono solo, pensa Nico.
E anche se non voleva, gli sembra di aver soltanto obbedito ad un richiamo.
Il verso giusto, l’onda del fiume, il primo solco, lo sprofondo. Un portentoso richiamo di serventes, eunuchi e santi ciechi. Di ogni schiera ed ogni esercito. Di ogni croce e ogni tomba.
Ascolta. Li sente il suo cuore, prima di tutto.
Li sente, e sono lì, tutto intorno a lui, oltre il muro riempito di graffiti: nessuno dorme, nessuno riposa veramente. Tutti vivono, in folta processione di ombre, e inquietano i vivi, che sono troppo sordi per ascoltarli, con il chiasso della loro assenza.
E alle quattro di notte, a Nico sembra di essere il primo uomo sulla faccia della terra.
E’ come un mare. Come una chiglia il tempo l’attraversa.
“ Non ho mai sentito nulla più chiaramente,” sussurra tra sé nel tiepido silenzio della notte, “ e’ come il rumore del treno, quando è ancora lontano: invade l’aria, la sposta.”
I morti che chiedono, pretendono, non ci lasciano in pace. Non vogliono la nostra pace.
Vivono perché nulla ci appartiene, e tutto è loro, e grazie a loro perdonato.
Giallo d’ocra il cielo, tramonto di luna. Sente un fruscio nell’aria, Nico, ed è un uccello: s’invola dalle chiome del Foro, e sembra sfuggirgli alla vista, farlo apposta. Si porta dietro i pensieri. Gazza, corvo o fenice: misteriosamente si dilegua, qualunque uccello fosse. Porta via il canto di quelle voci.
E nel mistero, ritorna ogni parola alla sua fonte.

Fabrizio Falconi