Renzo Bellanca, una mostra in Spagna.

Ovvero il viaggio intenso

Per chi come me ha ancora il vizio malcelato – e talvolta finanche l’entusiasmo bambinesco – di tradurre in parole di cronaca quotidiana i fatti dell’arte, l’arrivo della posta attesa è un momento di benevola soddisfazione. Soprattutto quando il “pacco” lascia presagire chissà quale nuovo racconto dal fronte dei miei amici artisti. La busta voluminosa che giunge direttamente dalla Spagna è davvero di buon auspicio. Per me e per il mittente, Renzo Bellanca pittore. L’ho conosciuto nei mesi scorsi, in una delle sue frequenti “invasioni” territoriali o, più bonariamente, in quelle che con discrezione oziosa definiremmo vere e proprie gite fuoriporta. Per riascoltare voci amiche, per rimuginare sul tempo trascorso o, più proficuamente, per sostenere ipotesi a venire. La mostra in terra di Spagna fu appena sfiorata, per scaramanzia o per quel senso di generoso silenzio che sembra che sembra appartenere alla sua genìa isolana. «Renzo Bellanca, emociòn e erosiòn». È il titolo minuto che l’artista si è ritagliato sulla scia brunita di una sua opera, quella che fa da copertina – e da prologo narrativo – allo splendido volume che ha accompagnato la «visita» spagnola di Ourense, in Galizia. E sa tanto di «viaggio» questa mostra. Di un viaggio intenso, rotto da approdi appena necessari per rifocillarsi all’ombra della propria storia: quella che sa di solarità grasse, di biacche corpose, di cabala e respiri. O di nenie desertiche. Come lo sono le campiture calligrafiche, matrici secolari di un linguaggio che è crocevia delle mille diaspore o traccia sotterranea di un fiume mai dissipato. La mostra in Galizia va assai oltre la maliziosa effervescenza di un’inedita frontiera di confronto. A me pare invece che all’apparente fatalità del viaggio – o di un luogo sconosciuto – Renzo Bellanca abbia attribuito un rafforzato riflesso ovvero quella rassicurante continuità che si consuma sul piano di un tempo comune: remoto o da inseguire. Lo stesso tempo – le stesse radici, forse – che Bellanca continua ad nutrire.

Rocco Zani